Il mercato della finanza non teme lavajato. Nonostante la crisi delle esportazioni delle commodity e lo scandalo, la Petrobras ha quasi recuperato le perdite azionarie accumulate ed hanno fatto guadagnare ingenti lucri agli investitori, soprattutto gli speculatori, tra cui George Soros, il quale nei giorni scorsi ha rivenduto l’intero azionario in suo possesso della statale brasiliana, dopo averlo acquistato in netto ribasso nel 2014, quando le agenzie di rating, soprattutto quelle americane, dicevano di disfarsi delle azioni della petrolifera. Non è stato solo lui a nuotare controcorrente nel mercato finanziario, anche la Deutsche Bank ha consigliato ai propri clienti d’investire nella Petrobras, quando il governo brasiliano impiantava la Commissione d’inchiesta parlamentare.
Lo scandalo ebbe un’impennata alla fine del 2014, durante la campagna elettorale presidenziale in cui il candidato Neves ha cercato di sfruttare la tangentopoli brasiliana per impedire inutilmente la vittoria della Rousseff, la quale riuscì a riconfermarsi presidente grazie ai voti della nuova classe media emergente, il popolo, il quale ha riconosciuto in lei, nell’ex presidente Lula e il Pt, gli artefici di un cambiamento socio-politico che incomoda sempre più l’elite, la destra brasiliana e Washington. Gli Stati Uniti non gradiscono la politica della Rousseff e del suo partito. “La presidente è stata molto cauta nei suoi primi otto mesi di mandato presidenziale. L’abbiamo visto con la nomina della nuova equipe economica. Dilma teme soprattutto il potere di demistificazione degli americani nei confronti dei governi. L’abbiamo visto con Chavez e con l’Iran”, afferma la nota politologa Argelina Cheibub. Rousseff ha fatto conoscere al Brasile e al mondo, i nomi della sua nuova equipe economica in un evento organizzato dalla banca d’investimento americana JP Morgan. L’annuncio è stato un chiaro messaggio inviato al mercato, il quale ha festeggiato nel conoscere il nuovo staff legato all’ortodossia finanziaria. Il messaggio non è stato sufficiente a quietare Washington, soprattutto quando Rousseff, in piena crisi ucraina, si fece fotografare, assieme al presidente Putin e gli altri membri dei Brics, come se fossero dei moschettieri, durante la riunione del G20 in Australia. Washington non ha gradito l’annuncio dei cinque capi di stato che formano i Brics (Brasile, Cina, India, Russia e Sud Africa), tra cui Xi Jinping, capo di stato della Cina, principale detentore del debito pubblico americano, nell’avere raggiunto un accordo per la costituzione di una Banca di Sviluppo (Nbd) da 100 miliardi di dollari e riserve valutarie di altrettanti 100 miliardi di dollari. I Brics sostengono anche la creazione di una nuova valuta di riserva internazionale per integrare e sostituire il dollaro. La posta in gioco è alta. La caduta del prezzo del greggio nel mondo è usata come arma da Washington per colpire la produzione petrolifera della ribelle russa. É chiaro che anche il Brasile e lo scandalo Petrobras, secondo William Engdahl, consulente di rischio strategico e autore di best-seller su petrolio e geopolitica, fanno parte di un disegno geopolitico mondiale americano. Il 2 novembre, pochi giorni dopo la tormentata vittoria della presidente brasiliana, la società di revisione contabile degli Stati Uniti, Price Waterhouse Coopers (Pwc), declinò di firmare gli utili del terzo trimestre della Petrobras. La Pwc, che ha richiesto un’ampia inchiesta sulla Petrobras, è una società coinvolta in diversi scandali negli Usa. Nascose le frodi nel gruppo assicurativo Aig, al centro della crisi finanziaria americana del 2008. Neves è sostenuto in America. Se fosse diventato presidente, il suo capo consigliere economico, Arminio Fraga, caro amico ed ex-socio di Soros e del suo hedge fund Quantum, sarebbe diventato ministro delle Finanze; mentre il consulente alla presidenza o probabile ministro degli Esteri, sarebbe stato Rubens Antonio Barbosa, l’ex ambasciatore del Brasile a Washington e oggi senior director dell’Asg di São Paolo. L’Asg, secondo Engdahl, è la società di consulenza di Madeline Albright, ex-segretaria di Stato americano. Albright dirige il Council on Foreign Relations, oltre ad essere la presidente della prima Ong delle “Rivoluzioni colorate” americana, la National Democratic Institute, la quale era coinvolta nelle dimostrazioni di Hong Kong. É comprensibile il fatto che Barbosa chiedesse in campagna il consolidamento dei rapporti Brasile-USA e la riduzione dei forti legami Brasile-Cina irrobustiti invece a maggio da Rousseff, la quale ha firmato con il primo ministro, Li Keqiang, un contratto d’investimenti faraonici in Brasile, dove Pechino, indifferente agli scandali – oltre a finanziare progetti d’infrastruttura e sviluppare il commercio bilaterale – investirà sette miliardi di dollari nella Petrobras.
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